Quanto costa riscaldare casa

Qui sotto è riportato l’articolo pubblicato sul mensile “La Piazza” nel numero di Gennaio 2014 (Anno XI – Numero 1) intitolato “Quanto costa riscaldare casa”.

Riscaldare gli edifici e le abitazioni è una vera e propria impresa, che in genere non ci lascia mai soddisfatti, perchè si spende molto e ci si riscalda poco. Ciò dipende dal basso isolamento termico delle nostre case che perdono calore da tutti “i pizzi”. Ma cosa si può fare per migliorare la classe energetica dell’appartamento? Conviene usare una termostufa a pellet? E quali sono i combustibili meno costosi?

Cosa è il combustibile?
I combustibili sono quelle sostanze comunemente utilizzate per il riscaldamento degli edifici, attraverso un processo mediante il quale l’energia chimica contenuta in essi viene convertita in energia termica all’interno di generatori di calore (combustione a fiamma). I combustibili più comuni sono il gas metano (34,54 MJ/Nm3), il gasolio (42,71 MJ/kg), il gpl (46,05 MJ/kg), il pellet (18 MJ/kg) e la legna (15 MJ/kg) – tra parentesi è indicato il potere calorifico.

Quanto costano i combustibili?
Il costo dei combustibili può variare notevolmente nell’arco dell’anno a causa degli aumenti delle materie prime oppure ai problemi sul loro approvvigionamento (per guerre, attentati, accordi economici); attualmente il gas metano costa circa 0,85 €/mc , il gasolio 1,50 €/l, il gpl 3,50 €/mc, il pellet 0,35 €/kg e la legna 0,15 €/kg, incluse le tasse ed il trasporto.

Quanta energia consumiamo?
Per il riscaldamento, la produzione di acqua calda sanitaria ed i servizi domestici, le abitazioni italiane bruciano il 30% di tutta l’energia consumata in Italia, una quantità enorme che può essere ridotta con semplici accorgimenti ed adeguati interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti, che in aggiunta sono sovvenzionati con elevati incentivi statali (detrazioni del 65%).

Come riqualificare casa?
Gli interventi di riqualificazione energetica dell’abitazione che danno il risultato più vantaggioso in termini di costo/guadagno sono l’installazione di una caldaia a condensazione, l’uso di valvole termostatiche, il montaggio di finestre e vetri basso emissivi, e l’isolamento termico di muri e soffitti.

Conviene il pellet?
Si. Innanzitutto i combustibili naturali e rinnovabili fanno bene alla salute dell’ambiente ed alla nostra, perché non aumentano la quantità di anidride carbonica, infatti immettono nell’aria la stessa CO2 che hanno consumato nel loro ciclo di vita, ed inoltre hanno anche una certa convenienza economica, in media una termostufa a pellet permette di spendere il 21% in meno di una caldaia tradizionale a metano, ed addirittura il 52% in meno rispetto al gpl.

Quale combustibile scegliere?
E’ chiaro che la scelta del combustibile adatto alla nostra situazione non può essere legata solo ad una valutazione economica, ma serve considerare anche la sua reperibilità in zona, la fattibilità impiantistica, la facilità di utilizzo, l’impatto ambientale, l’oscillazione del prezzo. Ad esempio le zone di campagna non sono servite dalla rete di gas metano, non è certo comodo trasportare la legna al 4° piano di un edificio senza ascensore, il gpl necessita per forza di un serbatoio di stoccaggio ed infine il carbone è di sicuro molto inquinante.

Quale combustibile costa meno?
Superate le precedenti considerazioni diventa utile trovare il combustibile più economico per riscaldare l’abitazione. Ipotizzando di utilizzare una caldaia/termostufa con un rendimento globale medio pari all’81%, per il riscaldamento e l’acqua calda sanitaria di un abitazione (81 mq) in classe energetica G con un indice di prestazione energetica globale di 187 kWh/mq e quindi un fabbisogno di energia termica di 15.180 kWh, serve spendere 528 € di legna, oppure 1.027 € di pellet, 1.299 € di metano, 2.113 € per il GPL, 2.181 € per il gasolio. In conclusione i vecchi sistemi non tramontano mai, saranno scomodi ma sono molto economici, infatti in media un termocamino a legna permette di spendere il 59% in meno di una caldaia tradizionale a metano, ed addirittura il 75% in meno rispetto al gpl, a patto di portare le legna fino a casa!

Norme UNI per rete idranti

Tali impianti sono richiesti dalle norme di prevenzione incendi per le attività soggette al controllo dei Vigili del Fuoco ed appartengono alla categoria dei sistemi di protezione attiva. Le reti di idranti sono installate allo scopo di fornire acqua in quantità adeguata per combattere, tramite gli idranti ed i naspi ad esse collegati, l’incendio di maggiore entità ragionevolmente prevedibile nell’area protetta.

Gli impianti devono essere progettati e realizzati a regola d’arte, nel rispetto di tutte le disposizioni di legge e le norme tecniche. La normativa di riferimento è la UNI 10779/2007.

Le reti di idranti comprendono i seguenti componenti principali:

  – alimentazione idrica;

  – rete di tubazioni fisse;

  – attacchi di mandata per autopompa;

  – valvole di intercettazione;

  – idranti e/o naspi.

Gli idranti a colonna soprasuolo devono essere conformi alla UNI EN 14384. Per ciascun idrante deve essere prevista, secondo le necessità di utilizzo, una o più tubazioni flessibili di DN 70 conformi alla UNI 9487 complete di raccordi UNI 804, lancia di erogazione e con le chiavi di manovra indispensabili all’uso dell’idrante stesso.

Gli idranti a muro devono essere conformi alla UNI EN 671-2 e le attrezzature devono

essere permanentemente collegate alla valvola di intercettazione.

I naspi devono essere conformi alla UNI EN 671-1.

Attacchi con girello UNI 804 protetti contro l’ingresso di corpi estranei nel sistema a mezzo di tappo maschio, filettato secondo UNI 810, e sagomato in modo da poter essere rimosso con chiave unificata UNI 814.

Le tubazioni flessibili di diametro DN 45 devono essere conformi alla UNI EN 14540. Le tubazioni flessibili di diametro DN 70 devono essere conformi alla UNI 9487.

Le tubazioni semirigide devono essere conformi alla UNI EN 694.

Per la manutenzione e la prova delle alimentazioni idriche delle reti idranti con alimentazioni dedicate si applica la norma UNI EN 12845.

La manutenzione di naspi ed idranti a muro deve essere svolta con la frequenza prevista dalle disposizioni normative e comunque almeno due volte all’anno, in conformità alla UNI EN 671-3 ed alle istruzioni contenute nel manuale d’uso che deve essere predisposto dal fornitore dell’impianto.

Norme UNI per rilevazione incendi

Norme UNI per rilevazione incendi
I rivelatori puntiformi di calore devono essere conformi alla UNI EN 54-5.

I rivelatori puntiformi di fumo devono essere conformi alla UNI EN 54-7.

I rivelatori ottici lineari di fumo devono essere conformi alla UNI EN 54-12.

La centrale di controllo e segnalazione deve essere conforme alla UNI EN 54-2:2007. Ad essa fanno capo sia i rivelatori automatici sia i punti di segnalazione manuale.

I dispositivi di allarme acustici e luminosi devono inoltre essere conformi alla UNI EN 54-2.

Il sistema di rivelazione deve essere dotato di un’apparecchiatura di alimentazione costituita da due sorgenti di alimentazione in conformità alla UNI EN 54-4.

I cavi utilizzati nel sistema rivelazione incendio devono essere resistenti al fuoco per almeno 30 min secondo la CEI EN 50200, a bassa emissione di fumo e zero alogeni o comunque protetti per tale periodo.

Se una medesima linea di rivelazione serve più zone o più di 32 punti, la linea deve essere ad anello chiuso e dotata di opportuni dispositivi di isolamento, conformi alla UNI EN 54-17, in grado di assicurare che un corto circuito o una interruzione della linea medesima, non impedisca la segnalazione di allarme incendio per più di una zona.

Non più possibile autocertificazione rischi

02/03/2014

Per i datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori non è più possibile effettuare l’autocertificazione della valutazione dei rischi, tale possibilità è scaduta il 01/06/2013. Per le piccole aziende diventa obbligatoria la valutazione dei rischi secondo le procedure standardizzate in materia di sicurezza sul lavoro. Lo sancisce la nota 2583/2013 del Ministero del Lavoro.
L’articolo 29 del DLgs 81/2008 obbliga il datore di lavoro ad effettuare ed elaborare il documento di valutazione dei rischi sul luogo di lavoro, in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente.
La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della
salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità. A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione debbono essere aggiornate.
I datori di lavoro che occupano fino a 50 lavoratori possono effettuare la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate.